Il
Ministro del Lavoro Poletti continua a bersagliare il mondo accademico e riesce
a
inimicarsi
anche i ricercatori universitari italiani. Infatti, alla legittima richiesta delll'ADI
(Associazione
Dottorandi e dottori di ricerca Italiani) che chiedeva la possibilità di
estendere
la DIS-COLL (ammortizzatore sociale per i precari) anche agli assegnisti di
ricerca,
il Ministro del Lavoro ha risposto picche, sostenendo incredibilmente che “i
ricercatori
non sono lavoratori”. Una dichiarazione che rende l'idea di quanto il Ministro
in questione sia lontano dalla realtà sulla quale è chiamato a decidere: per
chi non lo sapesse, anche a fronte degli indiscriminati tagli attuati su
Università e ricerca, a molti assegnisti sono demandate, oltre alle legittime
attività di ricerca, anche attività di insegnamento, tutoraggio e via
discorrendo, pur non avendo alcun riconoscimento per il proprio ruolo di
“architrave” informale, una sorta di “toppa umana”, per sopperire alle carenze
ormai strutturali di personale e risorse dei nostri atenei. Il 48% del
personale che si occupa di didattica e di ricerca nelle università è precario e
si vede così negato anche il diritto ad ammortizzatori sociali. Ma i ricercatori
non sono stati l'unico bersaglio.
Lo
stesso Ministro a fine novembre 2015 aveva affermato con estrema superfiialità
che: “laurearsi con 110 e lode a 28 anni non serve a un fico”, senza
minimamente tenere in considerazione le diverse condizioni di partenza degli
studenti, molti dei quali costretti anche a lavorare, spesso sottopagati o in
nero, per potersi mantenere agli studi e pagare rette universitarie tra le più
alte d’Europa a fronte di servizi qualitativamente scadenti.
A
livello sostanziale infatti il
diritto allo studio è scarsamente garantito in quanto in molti Atenei le di
borse di studio e il numero di alloggi studenteschi disponibili non soddisfano
la totalità delle richieste degli aventi diritto,
pertanto vi sono studenti costretti ad enormi sacrifici, non solo economici,
per poter proseguire il loro percorso formativo.
Un
Ministro del Lavoro serio e competente dovrebbe interrogarsi sul perchè
la realtà occupazionale italiana non riesce ad assorbire e valorizzare i
neolaureati e impegnarsi a fondo nel cercare di
ricomporre l'enorme frattura creatasi tra sistema accademico e mercato del
lavoro
e non bacchettare gli studenti, già
penalizzati da una situazione inqualificabile delle università pubbliche.
Un
governo che voglia davvero investire sui giovani dovrebbe chiedersi come
coniugare le competenze richieste oggi dal mercato del lavoro nei diversi
settori produttivi con le esigenze formative degli studenti universitari.
Un
Paese all'avanguardia, invece di tagliare i fondi, dovrebbe incentivare la
cultura e il sapere, a maggior ragione in un periodo come quello che stiamo
attraversando, per favorire attraverso la ricerca di eccellenze nei settori
strategici l'uscita da una crisi economica e sociale che sembra interminabile.
Ma
in Italia non accade nulla di tutto questo, si preferisce stigmatizzare gli
studenti che provano con enormi difficoltà a costruirsi un futuro a partire da
un brillante percorso accademico, invitandoli invece a “volre
basso”, alla mediocrità.
Già...
mediocrità, il termine che meglio connota le caratteristiche di questa classe
dirigente.
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